Ultime settimane impegnative di lavoro all’estero, mi hanno dato alla testa e portato a scrivere un pezzo un po’ pazzo, almeno nel collegamento, a mia discolpa il fatto che non ne sono l’ideatore, ma lo è una ricercatrice universitaria. Una delle indagini che vado più fiero è quella realizzata nel 2018 dentro alcuni allevamenti di pesci, per cui il tema mi stimola molto e credo sia interessante approfondire. Che dire ancora… buona lettura!
Animal farm News è divisa in tre parti, oltre a un articolo inedito ci sono due rubriche: Contenuti interessanti e Immagini che mi hanno colpito.
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Nell’agosto del 1994 Stephen Churchill, un ragazzo inglese di 19 anni, fece un frontale con un mezzo militare che viaggiava nella corsia opposta. Lui e il suo amico si salvarono, la Ford Fiesta di sua madre no, ma la cosa strana è che non riusciva a spiegarsi come avesse potuto sbandare e andarsi a schiantare. Da quel giorno Stephen cadde in una profonda depressione, abbandonò la scuola e iniziò ad avere grosse difficoltà motorie. Mese dopo mese le sue condizioni fisiche peggiorano fino al 21 maggio del 95’ quando il ragazzo morì. Stephen Churchill fu la prima persona accertata, morta per una variante della sindrome di Creutzfeldt-Jakob (vCJD), una rarissima malattia degenerativa del cervello che di solito si manifestava nelle persone anziane.
Questa storia ha però inizio nel 1984. Poco prima di Natale la mucca numero 133 allevata alla Pitsham Farm nel Sussex, sempre in Inghilterra, iniziò a comportarsi in modo strano, la testa le tremava e aveva perso la coordinazione. L’animale morì a febbraio e fu sottoposto ad autopsia, l’esito arrivò solo a settembre e si scoprì che la mucca era morta di encefalopatia spongiforme bovina o BSE, più comunemente nota come morbo della mucca pazza.
A oggi gli esperti concordano che l’origine della malattia fu multifattoriale, ma dato che non devo scrivere una newsletter sulla mucca pazza, non mi dilungherò sulle varie ipotesi messe in campo, ma su quella che all’epoca fu presa più in considerazione: i bovini si ammalavano perché venivano alimentati con farine di carne e ossa fatte con gli avanzi di carcasse di animali, comprese le mucche. Insomma, cannibalismo forzato per animali erbivori.
Nel luglio 1988 il governo britannico vietò l'uso di queste farine, ma a quel punto un milione di mucche infette da BSE era ormai entrato nella catena alimentare umana.
Nonostante il diffondersi dell'epidemia tra i bovini e nonostante alcuni microbiologici sostenessero che la carne infetta da BSE potesse trasmettere la malattia di Creutzfeldt-Jakob agli umani, il governo conservatore ha insistito sul fatto che la carne bovina inglese fosse sicura per tutti. Nel giugno 1990 la Thatcher, in risposta al divieto di importazione di carne bovina da parte di Francia e Germania Ovest, dichiarò in Parlamento: "la carne bovina britannica è sicura". A sostegno della brit-carne alcuni parlamentari si fecero filmare mentre mangiavano tartare di manzo e il Ministro dell'Agricoltura costrinse sua figlia di quattro anni a dare un morso a un hamburger.
La salute finanziaria dell'industria della carne bovina fu anteposta alla salute della popolazione inglese.
Solo a marzo del 1996, quasi un anno dopo la morte di Stephen, il governo dichiarò pubblicamente che il consumo di carne bovina contaminata da BSE poteva essere la causa di una nuova variante della sindrome di Creutzfeldt-Jakob.
Alla fine del 1996 tredici persone erano morte di vCJD e 4,4 milioni di bovini vennero soppressi.
Il panico esplose in tutto il mondo. L’Unione Europea bandì l’esportazione di carne inglese, altri divieti seguirono nei Paesi considerati a rischio e il consumo di carne bovina crollò.
Cosa c’entra la mucca pazza con il pesce?
Agnese Codignola, dottore di ricerca in Farmacologia all’Università di Milano, nel libro Il Destino del cibo (Feltrinelli 2020) scrive: “fu allora che i consumatori dei paesi più ricchi seppero per la prima volta in modo dettagliato e non più ignorabile, grazie a innumerevoli servizi giornalistici, che cosa erano davvero gli allevamenti intensivi di bestiame da carne con tutte le loro distorsioni, a cominciare proprio dal fatto che si era giunti alle mucche pazze perché, per soddisfare la domanda crescente di carne a bassissimo prezzo e avere quindi più animali cresciuti più in fretta, si alimentavano gli erbivori con farine animali, iperproteiche e assai poco controllate, anziché con l’erba che mangiavano fino dalla loro comparsa sulla Terra. Molti consumatori, spinti da motivazioni etiche e soprattutto dalla paura di contrarre morbi devastanti, abbandonarono i propri macellai, iniziarono a informarsi meglio su ciò che mangiavano e, parallelamente, iniziarono a interessarsi al pesce, a sua volta fino a quel momento alimento con un ruolo tutto sommato marginale, salvo eccezioni locali nelle comunità costiere. Quest’ultimo era infatti percepito, a differenza della carne, come un alimento sano, naturale, privo di contaminanti e pieno zeppo di cose che fanno bene, a cominciare da una famiglia di acidi grassi diventati le vere superstar della dieta e dei supplementi, e per questo i primi killer del mare: gli omega 3. E iniziarono a chiederne sempre di più, anche se il pesce selvatico disponibile era sempre di meno, e sempre più difficile da trovare”.
Dal 1961 il consumo globale di pesce è aumentato a un tasso medio annuo del 3%, a fronte di un tasso di crescita della popolazione dell'1,6%. Il consumo pro capite di animali acquatici è cresciuto da una media di 9,9 kg negli anni '60 ai 20,2 kg del 2020.
“La richiesta esponenziale di acidi grassi omega 3, uno dei casi più clamorosi della storia recente di azione terapeutica costruita a tavolino dagli uffici marketing”, afferma Agnese Codignola.
Negli ultimi vent’anni numerosi studi, spesso finanziati dalle aziende coinvolte nel business, hanno conferito agli omega 3 ogni tipo di beneficio per la salute umana: dall’Alzheimer al cancro, dalla vista alla gravidanza, dalla salute di cuore a quella del cervello. Una recente e autorevole ricerca, pubblicata dopo altre dello stesso stampo, ha dimostrato che il nostro acido grasso non è poi così miracoloso, se non per qualche (bassa) capacità nel prevenire rischi cardiovascolari in chi ha già avuto un infarto. Come conclude Codignola, che ti invito a leggere per avere più info a tal proposito: “purtroppo, occorreranno anni prima che il messaggio degli studi più attendibili arrivi a tutti i medici e soprattutto a tutti i consumatori”.
Questa brama di pesce ha avuto due conseguenze
1) Secondo il famigerato – forse famigerato solo per me – SOFIA (The State of World Fisheries and Aquaculture) rapportone biennale realizzato dalla FAO, l’ultimo pubblicato nel 2022, la percentuale di stock ittici pescati a livelli biologicamente insostenibili è aumentata dal 10% degli anni ‘70 al 35% del 2019.
La cosa più preoccupante è che quasi il 60% degli stock sono “Maximally sustainably fished” ovvero che sono sfruttati al massimo ma in modo sostenibile. Tipo che se peschi un po’ di più diventano “Overfished”? Se la situazione mondiale è questa nel Mediterraneo siamo messi peggio, più del 60% del pescato è catturato in modo insostenibile.
Il dato finale è che solo il 3% degli oceani è fully or highly protected from fishing impacts.
2) Se la pesca sta creando problemi, l’acquacoltura – ovvero gli allevamenti intensivi in acqua – ne stanno aggiungendo altri. Nel 2020 la produzione globale di animali acquatici è stata stimata a 178 milioni di tonnellate, i pesci non si contano singolarmente ma vanno a peso, se ti interessa il numero dei pescati ti rimando a questo sito. Di questi milioni di tonnellate, il 51% proviene dalla pesca e il 49% dall'acquacoltura. Quest’ultimo dato rappresenta un grande cambiamento rispetto alla quota del 4% dell'acquacoltura negli anni '50, del 5% negli anni '70, del 20% negli anni '90 e del 44% nel 2010. Dentro queste percentuali sono contati, oltre ai pesci (finfish), anche molluschi e crostacei. I pesci rappresentano circa il 50% di questo insieme, più o meno 57 milioni di tonnellate.
Come si nota dal grafico la maggioranza dei finfish non sono allevati in mare ma in zone palustri o direttamente sulla terra ferma (inland aquaculture). L'Asia domina in modo prepotente l'acquacoltura mondiale, producendo nel 2020 oltre il 90% degli animali acquatici e delle alghe, con la Cina al top (56% produzione mondiale). Sulle 650 specie allevate al mondo la principale è la carpa erbivora 5,7 milioni di T. tipico pesce consumato in Asia. Il “nostro” salmone è all’ottavo posto con 2,7 milioni di T.
I principali problemi dell’acquacoltura sono praticamente gli stessi che si trovano negli allevamenti intensivi di terra:
inquinamento: le gabbie dove sono allevati i pesci vengono lavate con prodotti chimici che vengono dispersi nell’ambiente, anche la gestione degli escrementi crea problematiche.
antibiotici: come in tutti i sistemi intensivi sono necessari per la sopravvivenza degli animali, se ne possono usare pochi o molti, non somministrarli negli ultimi mesi di allevamento ma si usano.
alimentazione: per ottenere un kg di salmone allevato servono 2,5 kg di pesce selvatico. Si stima che ⅕ del pesce pescato venga trasformato in mangime per acquacoltura ma anche per gli allevamenti terrestri.
pericoli per le popolazioni selvatiche: quando migliaia di pesci scappano dagli allevamenti (capita eccome, anche in Italia) c’è il rischio che i loro geni finiscono per mischiarsi con quelli della popolazione selvatica, rendendoli più vulnerabili a malattie e ai predatori.
benessere animale: linko qualche indagine che abbiamo fatto così valuti tu come vengono trattati i pesci negli allevamenti. Solo una cosa aggiungo: non esiste una legge che lì tuteli.
Secondo la FAO, oltre 800 milioni di persone oggi soffrono la fame e 2,4 miliardi hanno un accesso gravemente limitato a cibo adeguato. Come si legge nel rapporto SOFIA si prevede che nel 2030 la produzione totale di animali acquatici raggiungerà i 202 milioni di tonnellate, grazie soprattutto alla crescita dell'acquacoltura, che dovrebbe raggiungere per la prima volta i 100 milioni di tonnellate nel 2027. La pesca, dice sempre la FAO, “dovrebbe riprendersi”, aumentando del 6% rispetto al 2020 per raggiungere i 96 milioni di tonnellate nel 2030.
Ecco sinceramente non credo che questa crescita andrà a sopperire alla mancanza di cibo per quei 3 miliardi di persone che non hanno da mangiare. Altresì credo che il mare si svuoterà e le pance dei poveri anche.
Contenuti interessanti
Vuoi sapere quali sono le più grandi aziende produttrici di carne di maiale. Ecco la lista dei mega producer.
Ancora un articolo del Guardian, sulle contraddizioni etiche nel costruire allevamenti di polpi.
A proposito di stock ittici sovrasfruttati, in Giappone stanno investendo sul alternative fish-free per il sushi.
Negli USA è stata approvata la vendita di un prodotto di carne di pollo coltivato.
Sta arrivando la peste suina anche in Lombardia, l’industria suinicola si prepara a non perdere neanche un euro.
Un’immagine che mi ha colpito
Ryan Zinke, politico repubblicano, già Segretario degli Interni per Trump, ora in corsa per un seggio nel Montana, ha pubblicato su Twitter questa foto mentre marchia a fuoco un vitello. Il legame tra i conservazionisti e in particolare i politici di destra nel difendere il settore zootecnico è sempre più evidente, non solo per una questione d’interesse ma anche per identitarismo (macho). Prossimamente scriverò qualcosa su questo.
È uscito un report dell’associazione Terra! dove ha analizzato lo sfruttamento dei lavoratori e lavoratrici in alcune filiere agro-alimentari lombarde, tra cui quella suinicola. Un lavoro che Essere Animali ha contribuito a realizzare. Ancora non l’ho letto tutto ma conoscendo l’associazione e i giornalisti che l’hanno scritto consiglio la lettura, QUI.
Grazie, Francesco. Analisi impeccabile sullo stato di un'industria che sta devastando gli ecosistemi marittimi di mezzo mondo (e anche più). Se già gli allevamenti intensivi di terra sono luoghi impenetrabili sui quali si sa relativamente poco (se non grazie al grande lavoro vostro e delle tante organizzazioni animaliste), la pesca è un settore di ancor più difficile monitoraggio. Il dato relativo all'overfishing dovrebbe farci tremare, in particolare se consideriamo il trend globale e, soprattutto, quello dei Paesi BRICS. Qui non è più solo questione di pratiche spietate o di etica della pesca, ma ne va della sopravvivenza di interi ecosistemi. E della nostra.
(Ottima newsletter!)