Che anno ci aspetterà in questo turbinio di disgrazie? Intanto iniziamo a riportare qualche dato dell’anno passato. Un pezzo evocativo-descrittivo ti accompagnerà alla scoperta, anche di una parte del mio lavoro. A presto, un monito prima di tutto per me stesso.
Animal farm News è divisa in tre parti, oltre a un articolo inedito ci sono due rubriche: Contenuti interessanti e Immagini che mi hanno colpito.
Qui invece puoi leggere tutte le newsletter che ho già scritto.
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Alle sette del mattino del 17 dicembre scorso, parcheggiati nell’area di servizio Gonars Nord a 50 km dal confine sloveno, mentre mangiavo un tramezzino seitan e funghi (decisamente meglio di quello tofu e olive) il nostro pan di via marcato Aldi, i miei occhi si agganciano a un autoarticolato bianco sporco che, a 100 all'ora, percorre da sinistra a destra tutto il nostro parabrezza.
È una sensazione difficile da spiegare, forse è il quinto senso e mezzo, ma quando passa uno di quei camion lì, anche se stai scrollando Tik Tok, rapito dall’algoritmo, il tuo collo si estende e… ooooooo. La prima volta che abbiamo fatto questo lavoro, con un misto di entusiasmo e invidia siamo rimasti stupefatti come Silvia, la nostra maestra, riuscisse con un solo colpo d’occhio a distinguerli nel mezzo di quel traffico continuo. Devo dire che dopo quattro anni siamo diventati bravi anche noi, a volte riusciamo addirittura a capire a quale azienda appartengono.
Aspettavamo dalle 4:15. Per restare svegli a lungo, quando dormi poco, bisogna mangiare poco e spesso, il caffè non funziona con la pancia piena. Iniziamo l’inseguimento, ma è ancora buio pesto, per cui prima di tutto dobbiamo sincerarci che stia trasportando quello che cerchiamo. La temperatura è di 0 °C e quando fa così freddo le finestrelle dei camion sono quasi tutte chiuse, soprattutto quelle sul lato sinistro. Ci accodiamo, tiriamo giù i finestrini, annusiamo l’aria per sentire l’odore che lascia. Leggiamo la targa, viene dalla Romania, ce l’appuntiamo, che dopo serve. Contiamo quante file di perni monta il rimorchio: perché da questo si può capire quale specie stia caricando. Questi ferri servono infatti a fissare i ripiani dove vengono sistemati gli animali. Nessun perno, un ripiano: o è vuoto o trasporta cavalli. Una fila di perni, due ripiani: bovini. Due file, tre ripiani: maiali o ovini. Tre, quattro ripiani: sicuramente agnelli.
Il nostro ha tre file di perni, per cui è ok. Tramite la targa cerchiamo nel database se quel mezzo l’abbiamo già attenzionato. No, mai visto prima: questo vuol dire che non sappiamo se l’azienda trasportatrice è sulla black list. La successiva mossa è cercare di capire in quali condizioni sono gli animali, ricordiamoci che è buio e le finestrelle che danno sulla corsia di sorpasso sono chiuse. I camion viaggiano in prima corsia, vanno in seconda solo quando devono superare, questo significa che per vedere se qualche finestrella sul lato destro è aperta dobbiamo farci sorpassare. Niente da fare, nemmeno dall’altra parte si riescono a vedere gli animali. Per controllare in che stato sono dobbiamo aspettare che si fermi. Il camion è uno di quelli un po’ scassoni, questo ci convince che vale la pena seguirlo.
Quando e come si ferma un camion?
Qui si aprono due scuole di pensiero, due diverse modalità d’intervento, una light l’altra hardcore. Noi le utilizziamo entrambe a seconda delle circostanze: 1) livello di stanchezza: anche se mangi come Frodo dopo quindici ore in strada ti sale una nebbia cognitiva che diventi come il protagonista di Memento, se non ti scrivi tutto dopo cinque minuti non ti ricordi niente 2) che ora è 3) quanti camion hai già fermato 4) quanto sei frustrato 5) se hai con te un giornalista o una parlamentare. Insomma, la cosa è multifattoriale.
Stavolta scegliamo l’approccio zen, ovvero pazientare finché non si ferma. Per legge, un camion che compie un trasporto superiore alle 8 ore deve effettuare una sosta di un’ora dopo 14 ore di viaggio per permettere agli animali di riposare. Inoltre, ogni quattro ore e mezza deve fermarsi per 15 minuti, per consentire agli autisti, di solito due, di alternarsi alla guida.
Alle 10:30 il camion mette la freccia. Ci siamo, si sta fermando in un’area di servizio vicino a Bologna. Indossiamo le pettorine giallo fluo e accendiamo le radio per comunicare tra di noi, non c’è bisogno di aggiungere altro, sappiamo bene cosa fare.
Il camion si ferma a lato delle pompe di benzina, non si mette nel parcheggio con gli altri mezzi pesanti, gli parcheggiamo dietro. Io scendo dalla macchina, Simone con passo svelto e faccia di bronzo si presenta sotto la portiera del guidatore. Come si approccia con gli autisti non te lo posso dire, scusami, sono cose che è meglio rimangano sconosciute. Gli parla per qualche minuto e mi dà il via libera, possiamo controllare gli animali. Apro le finestrelle, tanti agnelli toccano con la testa nel tetto del ripiano superiore, non va bene. La densità è elevata, ci dicono che ne hanno caricati 550, non ci credo, secondo me ce ne sono di più. Diversi hanno il muco che gli esce dal naso e starnutiscono. Gli autisti sono dei tranquilloni, rumeni, come gli agnelli, ci capiamo poco, si comunica a gesti e con un po’ d’inglese. A un certo punto ci passano un telefono, è il titolare dell’azienda, parla italiano. Gli diciamo che non ci siamo, ci sono troppi animali e la lettiera è una merda, lui inspiegabilmente ci comunica che nelle sue stalle c’è una forte epidemia di blue tongue e per evitare che la malattia rendesse gli agnelli non idonei alla macellazione ne ha caricati più del consentito.
Con un camion in quello stato non possiamo non chiamare la polizia e fargli fare un controllo da un veterinario, dispiace sempre quando gli autisti sono disponibili e gentili, ma siamo lì per raccogliere prove ufficiali delle problematiche del trasporto di agnelli dall’Est Europa ai macelli italiani. No mercy e poi le multe mica le pagano loro, paga il capo. Per correttezza cerchiamo di comunicargli che chiameremo la polizia, io torno in macchina mentre Simone finisce di parlargli. Non arriva e vedo che continua a gesticolare, mi avvicino e mi dice che ci vogliono dare 200 euro. No, non lì prendiamo assolutamente, insistono, ma non esiste proprio, ce ne torniamo in macchina e il tipo ci rincorre con due bottigliette di plastica: rachiu, rachiu. Vabbè bună, alla prossima e scusa ancora che chiameremo la polizia.
A proposito di soldi e strane storie. Un anno, facciamo fermare dalla stradale un camion messo male, male, anche questo rumeno. Al termine del controllo, la polizia e i veterinari ufficiali, gli staccano una multa di 4.500 euro. Secondo il codice della strada, quando un veicolo estero viene sanzionato, il conducente deve pagare immediatamente e in contanti l’ammontare della multa, pena il blocco del mezzo. Gli autisti di solito girano con del cash, anche perché sono preparati all’evenienza di pagare una multa, ma quella volta non avevano tutti quei soldi. Fatto sta che nell’area di servizio non c’era un bancomat, il camion non si poteva spostare, cosicché i poliziotti hanno chiesto a noi di accompagnare l’autista a prelevare fuori dall’autostrada. Anche se eravamo gli stronzi che l’avevano fatto multare, il tipo è salito in macchina e non ha fatto una piega, era chiaro che non era lui che avrebbe sborsato tutto quel denaro. In ogni modo questo esempio fa capire com’è il nostro rapporto con gli autisti, mai accusatorio né aggressivo. Siamo contro il gioco non contro i giocatori, la responsabilità degli autisti in tutto questo sistema è minima e prendersela con loro non avrebbe nessuna efficacia.
Dimenticavo di raccontare la variante strong per far sì che un camion si fermi e noi possiamo osservare lo stato degli animali. Premessa: gli autisti che trasportano gli agnelli in Italia dalla Romania o dall’Ungheria sono a conoscenza dell’attività di monitoraggio svolta dalle associazioni per i diritti degli animali. Da oltre un decennio, infatti, quella tratta autostradale è sotto controllo. In realtà è una strategia molto semplice: si affianca il camion, ci si fa vedere dagli autisti, gli si fa un gesto e ci si accoda al mezzo. Un chilometro prima di un’area di servizio si supera ci si mette davanti con la freccia di destra accesa e il più delle volte, molto diligentemente si fermano. Sinceramente non so bene perché lo fanno.
Inizio
Avevo pensato a questo intro per collegarmi a un pezzo super nerd in cui analizzavo alcuni dati del 2024, visto che è la prima newsletter dell’anno. Però, mentre scrivevo, mi sono preso bene e forse va meglio così.
La notizia principale che mi ha ispirato il “fu intro” è il numero degli agnelli macellati lo scorso anno, per l’esattezza 1.535.527. A uno sguardo poco avvezzo a queste cifre può sembrare, giustamente, un numero incredibilmente alto e di fatto lo è. Ma se si considera che nel 2011, anno di fondazione di Essere Animali gli agnelli macellati in Italia furono 4.310.927, il calo è stato incredibile. In 13 anni sono diminuiti del 64%, rispetto al 2020 addirittura sono calati del 44%. Le motivazioni di questa caduta si possono trarre dai risultati di un sondaggio che YouGov ha diffuso qualche giorno prima della scorsa Pasqua.
Dai dati raccolti dal sondaggio alcuni sono interessanti:
Il 15% di chi afferma che non avrebbe mangiato agnello a Pasqua, 3-4 anni prima lo mangiava.
Tra coloro che negli ultimi anni hanno smesso, le principali ragioni sono: “un’istintiva tenerezza nei confronti dell’agnello” (46%); l’aver scoperto le condizioni in cui vengono allevati e trattati (35%), un dato in aumento rispetto al 27% di due anni fa. Solo il 14% afferma di aver rinunciato all’agnello perché non ne apprezza il gusto.
Per il 19% di chi l’avrebbe mangiato non ci sarebbe stata nessuna ragione se non “l’abitudine della ricorrenza, da non confondere con chi invece ritiene che l’agnello sia una componente importante della tradizione”, ovvero il 20%. Il 7% avrebbero preferito non consumarlo “ma allo stesso tempo voleva evitare di sentirsi escluso o creare discussioni in famiglia”.
Insomma c’è ancora margine perché nei prossimi anni i consumi calino ulteriormente.
Virus
Un altro dato che si attacca a quanto scritto sopra riguarda le epidemie che quest’anno hanno colpito gli animali negli allevamenti.
La prima e meno nota è la blue tongue che non è una zoonosi, non si trasmette all’uomo ma colpisce principalmente i ruminanti domestici: ovini e bovini. È una malattia virale che non si trasmette da animale a animale per contatto diretto, ma attraverso le punture di moscerini infetti del genere Culicoides. Negli allevamenti colpiti non è prevista l’uccisione di tutti i capi, sono solo vietate le movimentazioni. Gli animali malati vengono trattati con cure palliative, per le pecore il tasso di mortalità può arrivare fino al 30%, i vaccini esistono ma non sembrano così efficaci.
Nel Bollettino epidemiologico nazionale veterinario, un sito ben fatto dall’IZS dell'Abruzzo e del Molise, sono disponibili mappe e tabelle aggiornate che mostrano i focolai e il numero di animali coinvolti in tutte le epidemie presenti sul territorio italiano.
Quest’anno la blue tongue è stata riscontrata in diverse aree dell’Europa centrale. In Romania, da cui l’Italia ha importato circa 170 mila ovini nel 2023, l’unica notizia arrivata segnala un grosso focolaio a luglio, ma da quello che ho saputo pare che la situazione sia particolarmente grave. Anche in Italia, nel 2024, si sono registrati centinaia di focolai, distribuiti in varie zone ma concentrati soprattutto in Sardegna – la regione con la metà delle pecore presenti in Italia. Complessivamente, la malattia ha colpito oltre un milione e mezzo di ovini, causando la morte di 84.756 animali.
Nel 2024, a causa della peste suina africana, sono stati abbattuti 107.795 maiali, con 1.231 focolai dichiarati. In questo caso, oltre a contare gli allevamenti infetti, vengono monitorate anche le zone in cui sono state rinvenute carcasse di cinghiali morti per PSA.
Lo scorso anno l’influenza aviaria è stata meno virulenta rispetto al passato, con 52 focolai in Pianura Padana e circa un milione di animali abbattuti. Per questa malattia, infatti, è previsto l’abbattimento di tutti gli animali presenti nel focolaio. Al contrario, il 2025 è iniziato con un forte incremento dei focolai: 18 registrati dall’inizio dell’anno e già oltre un milione di avicoli abbattuti.
Di recente ho letto un altro paragone particolarmente calzante per descrivere la relazione tra virus e allevamenti intensivi: se un virus arriva in un allevamento ci si tuffa come un bambino tra le caramelle. In tutto il mondo, l’H5N1, il virus dell’influenza aviaria ad alta patogenicità, sta colpendo non solo i volatili, ma anche i mammiferi. Negli Stati Uniti in questo momento è presente in 15 stati, interessando centinaia di allevamenti di mucche da latte, con i primi contagi registrati dai volatili agli esseri umani, dalle mucche agli umani e, forse, persino tra umani. A gennaio, in Louisiana, è stato riportato il primo decesso causato dall’influenza aviaria.
Nell’ultimo numero del National Geographic, intitolato Salto di specie, l’articolo si conclude così: “La scienza non è in grado di stabilire quante mutazioni sarebbero necessarie per completare l’evoluzione dell’H5N1 in un ceppo pandemico, ma ogni giorno che passa è un lancio di dadi”.
Forse la constatazione più vera di questa generale e universale inazione è questa di Saitō Kōhei: “nel breve termine e limitandoci a quanto vediamo in superficie, il capitalismo sembra godere ancora di ottima salute (fatte salve pandemie, guerre, inflazione e altri elementi che lo minacciano da vicino)”.
Marracash canta che non siamo in pericolo ma siamo il pericolo, non so, credo siano vere entrambe le cose.
Contenuti interessanti
Meno maiali da macellare e conti in rosso, Danish Crown la più grande azienda di lavorazione della carne danese licenzierà 500 lavoratori.
Chiusi 175 allevamenti di maiali in Belgio grazie a un programma governativo volto alla diminuzione dei capi allevati.
In UK alcuni allevamenti di mucche hanno tagliato la produzione di latte perché non trovano i lavoratori.
Su Internazionale un long form sull’allevamento del tonno rosso e le sue conseguenze. Da leggere!
Quanti finanziamenti ricevono gli allevamenti intensivi. I dati snocciolati dal mio amico Lorenzo.
Un’immagine che mi ha colpito
A sinistra Luigi Cremonini, classe 1939, fondatore e presidente del Gruppo Cremonini, proprietario di Inalca uno dei principali produttori di carne bovina in Europa. Nel 2023 Inalca ha fatturato 3 miliardi di euro. Il quadro alle sue spalle è di Guttuso, pittore e comunista.
Interessantissimo come sempre. Aspetto con ansia la prossima. E grazie per il tuo lavoro. Davvero da leggere anche l’articolo su internazionale.