Ciao! È troppo tempo che non pubblicavo, ma la mareggiata della vita mi ha portato a pensare ad altro. L’argomento di questa newsletter collima con il mio stato d’animo, parla di agency animale e di relazioni, che devono la loro intensità in base a fattori che nulla hanno a che vedere con l’identità di chi hai davanti. Buona lettura e fammi sapere se ti ritrovi nelle mie considerazioni.
Animal farm News è divisa in tre parti, oltre a un articolo inedito ci sono due rubriche: Contenuti interessanti e Immagini che mi hanno colpito.
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La scorsa settimana a Milano c’era la “Design week” e preso da un po’ di fomo ho cercato se ci fosse qualcosa d’interessante da vedere. Non avendo l’umore e forse nemmeno la sbatta per apprezzare le miriadi d’installazioni sparse per la città, sono andato sul sicuro. È così che mi sono ritrovato in un salone completamente nero, con un ledwall dietro il palco e proiettori laser ovunque, sembrava di essere al club to club, ma non ero lì per gli Autechre, bensì per Stefano Mancuso. Devo dire che la location e le luci basse hanno reso la conferenza ancora più piacevole.
Durante il primo intervento, mentre stava snocciolando numeri sugli impatti umani sul mondo naturale — tra cui il fatto che prima della rivoluzione agricola c'erano 6.000 miliardi di alberi sul pianeta, dei quali oggi ne restano solo la metà, e che 2.000 miliardi di questi sono stati abbattuti negli ultimi due secoli — un dato mi ha fatto accendere: l’80% di tutti gli uccelli presenti sulla terra sono polli. Sono numeri che già conoscevo: una ricerca del WWF indica che sono il 70% ma poco importa, non sono qui a debunkure il Professore, ma per ringraziarlo di avermi fatto pensare a uno di quei 30 miliardi di polli presenti ora sulla terra, e lui, proprio lui, si chiama Polly.
La conferenza era alle 19.00 e un’oretta prima avevo salutato Polly, con più calore del solito, perché quello era l’ultimo giorno che veniva in ufficio e l’indomani sarebbe stato portato dalla sua nuova famiglia di campagna, dove ora vive protetto, in un grande campo insieme ad altri animali.
Premetto: chi mi conosce lo sa, io non sono uno che ogni cane o animale che incontra lo accarezza o sbaciucchia, sinceramente mi occupo di diritti animali per una questione di giustizia non per un amore incondizionato verso tutti gli esseri viventi. Anche per il lavoro che faccio, credo che la mia mente, per proteggersi, abbia sviluppato una sensibilità iperselettiva, per cui riesco ad affezionarmi solo agli animali che frequento. Questo per dire che tutto questo zucchero è perché con Polly ho stretto una relazione.
Donna Haraway scrive: “Subjects, objects, kinds, races, species, genres, and genders are the products of their relating”. Sì hai letto bene ci sono anche le specie e gli oggetti, perché le identità e le caratteristiche non sono statiche, ma sono continuamente rinegoziate e riformate attraverso le relazioni.
Chi è Polly
Qualche settimana fa, insieme al mio amico fotografo Francesco Pistilli, eravamo all'interno di un allevamento di polli. Appena entrati nel capannone, mi sono diretto verso sinistra, vicino al muro, e ho notato che mentre il tappeto di animali si spostava in massa, uno rimaneva a terra, immobile, zoppo.
Gli faccio un video e proseguo l’esplorazione. Prima di andare via, vedo Fra che si sofferma su quel polletto, messo male ma ancora vivo, per poco, perché se fosse sopravvissuto alla notte, la mattina sarebbe stato ucciso dal primo operatore durante il giro della raccolta morti. Zoppi, poco sviluppati o malati non hanno cure negli allevamenti intensivi, sono solo “inutili bocche da sfamare”.
Gli scatta decine di foto, gli faccio altri video, insomma rimaniamo su di lui diversi minuti e a un certo punto mi balena in testa uno strano pensiero: l’abbiamo “sfruttato” per i nostri scopi, ora non possiamo abbandonarlo lì. Un assurdo concetto di win-win, tu ci hai “aiutato” ora noi aiutiamo te. Fatto sta che Polly viene via con noi e il giorno seguente invece di essere soppresso con una bastonata o la sua testa roteata nella mano di un lavoratore fino alla “dislocazione cervicale”, è in cura da una veterinaria.
Questo il referto della visita: “Il pollo presenta splay leg, incapacità a mantenere la stazione e deambulare, grave pododermatite con necrosi plantare, mucose pallide, stato del sensorio depresso, ipotermia, piumaggio rado e imbrattato. Feci prodotte diarroiche: all'esame copromicroscopico per flottazione si rileva grave infestazione da coccidi”.
In pratica, aveva le piante delle zampe bruciate a causa del contatto con la lettiera impregnata di ammoniaca, prodotta dalla decomposizione degli escrementi. Questo gli causava dolore, tanto che non riusciva a camminare e quindi a raggiungere le mangiatoie. Inoltre, era infestato da parassiti. Stava per morire.
In un esperimento condotto dal Dipartimento di scienze veterinarie cliniche dell’Università di Bristol, hanno somministrato ad alcuni polli da allevamento due tipi di mangimi, uno contenente carprofene, un antinfiammatorio dalle proprietà analgesiche, e l’altro senza. I polli zoppi tendevano a consumare più analgesico rispetto a quelli sani e man mano che la gravità dello zoppia aumentava, i polli mangiavano una proporzione significativamente maggiore di mangime medicato. Il dolore lì portava a trovare sollievo nel farmaco.
Dopo alcuni giorni di cure intensive in clinica, Polly inizia a riprendersi e torna a casa da Brenda. Simone gli costruisce un'amaca in modo che possa muovere le zampe senza caricarle, dando così inizio alla fisioterapia.
Nelle settimane successive il piccolo Polly ha iniziato a venire in ufficio con Brenda. Quando l’abbiamo preso aveva 28 giorni e pesava poco più di mezzo chilo, la metà rispetto ai suoi compagni, questo perché loro riuscivano a mangiare quello schifo di mangime iperproteico che lì fa diventare dei bodybuilder nel corpo di un bambino, mentre lui no.
Nei primi giorni in ufficio, essendo debole e disorientato dalla sua nuova vita, restava in una scatola insieme al suo unicorno di peluche. Man mano che riacquistava le forze, il suo areale si allargava e il carattere iniziava a emergere. In circa due settimane è tornato a camminare. Quando mangiavamo in terrazzo, lui razzolava tra le piastrelle; quando qualcuno andava in cucina, lui seguiva. Insomma, era diventato uno del team.
L'etologo olandese J.P. Kruijt ha affermato che "non esiste grande differenza tra il comportamento di un gallus gallus domestico e uno selvatico". Diversi ricercatori che hanno osservato i galli della giungla, gli antenati dei nostri polli domestici, hanno notato che questi passano molte ore a raspare via lo strato di foglie per raggiungere il loro cibo prediletto. Sembra che una memoria ancestrale di questo comportamento sia stata trasmessa attraverso le generazioni fino ai polli degli allevamenti intensivi, tanto che anche le razze fortemente domestiche manifestano lo stesso istinto di razzolare in cerca di cibo, quando ne hanno la possibilità.
Negli ultimi giorni prima della sua partenza per la nuova casa in campagna, cercavo di passare più tempo possibile con lui e lo tenevo spesso nella mia stanza in ufficio e quando si stufava di esplorare si addormentava appollaiato sui miei piedi.
Quanta vita perdono gli animali negli allevamenti? Troppa, può sembrare banale dirlo, ma vederli di notte a migliaia chiusi in un capannone e poi, la mattina, arrivare in ufficio e essere accolti da un pollo, ti fa rendere conto di quanto siamo profondamente immersi nella banalità.
Nel suo trattato del 1872, Darwin annotava che i polli domestici producono almeno una dozzina di diversi suoni con specifici significati. Gli studi hanno inoltre rivelato che i polli mostrano quello che gli scienziati chiamano "effetto audience", cioè che il tipo di suono che un pollo emette cambia a seconda del destinatario. Ad esempio, un gallo emette un suono particolare per avvisare una gallina della presenza di cibo, e un suono completamente diverso per allertare l'intera nidiata di un pericolo imminente. Se un gallo trova del cibo gustoso, chiama la sua gallina preferita con un tono basso e una voce particolare, usata solo per quell'occasione. Analogamente, la gallina usa lo stesso metodo per attirare l'attenzione dei pulcini su un cibo specifico.
Inoltre, il gallo sembra capace di simulare: quando una gallina si allontana troppo, lui usa il richiamo del cibo per riportarla vicino, anche se non c'è cibo presente. Se questa è una "simulazione volontaria", come sottolinea Lesley Roger, una delle principali ricercatrici in questo campo, stiamo osservando una complessa capacità cognitiva che nei polli non era mai stata riconosciuta.
Nel suo libro Prisoned Chickens Poisoned Eggs (Book Publishing Company 1996), Karen Davis riporta che ogni gallo può riconoscere il canto di almeno altri trenta galli, e secondo Valerie Porter, esperta di volatili domestici, i loro vocalizzi possono indicare una grande quantità di stati emotivi come scoperta di cibo, allarmi, rivendicazioni territoriali, preoccupazione, paura, piacere, frustrazione, dominanza, soddisfazione e altro.
Negli ultimi anni abbiamo scoperto che esiste una comunicazione molto più profonda tra il feto umano e la madre di quanto si pensasse precedentemente. Allo stesso modo, nel mondo avicolo, si sa che gli embrioni comunicano con la gallina che li cova mentre sono ancora dentro l'uovo. Prima della schiusa, i pulcini possono emettere segnali di disagio o di piacere, ai quali la madre risponde. Circa un giorno prima della schiusa, spesso i pulcini emettono pigolii d'angoscia, e la madre risponde spostandosi leggermente sulle uova o emettendo un richiamo rassicurante, seguito da un segnale di piacere dal pulcino. Di conseguenza, il legame tra il pulcino e la chioccia si forma prima della nascita, il che spiega perché subito dopo la schiusa dell'uovo il pulcino risponde solo ai richiami della propria madre e riconosce la sua voce.
Ricordo che i pulcini allevati non hanno mai l'opportunità di vedere la propria madre perché le uova vengono fatte schiudere su carrelli metallici in ambienti con temperatura controllata all'interno di incubatoi industriali.
A proposito di pulcini e imprinting, nei mesi scorsi ho letto Il pulcino di Kant (Adelphi 2023) di Giorgio Vallortigara, docente di Neuroscienze e Cognizione animale dell’Università di Trento. Un libro impegnativo dove Vallortigara descrive il risultato dei suoi esperimenti condotti sui pulcini per determinare quanto della loro conoscenza sia innata e quanto derivi dall'esperienza.
I pulcini, essendo frequentemente predati in natura, manifestano reazioni specifiche a seconda della minaccia percepita. Se notano un predatore aereo, come un falco, che volteggia sopra di loro senza avvicinarsi troppo, rimangono immobili per ridurre le probabilità di essere notati. Tuttavia, se il falco li ha avvisati e parte in picchiata verso di loro, i pulcini fuggono, cercando un riparo naturale o rifugiandosi sotto le ali della chioccia. Per scoprire se questi comportamenti siano innati, Vallortigara ha utilizzato pulcini inesperti, che non avevano mai sperimentato la presenza di un predatore, e ha replicato in laboratorio le condizioni di un uccello in volo.
Ha posizionato uno schermo sopra i pulcini e proiettato un disco che si muove a velocità costante senza cambiare dimensione (movimento detto sweeping), simulando un soggetto che passa nel cielo senza avvicinarsi, e un altro disco che si espande rapidamente (looming), rappresentando un uccello che si avvicina velocemente dal cielo. I pulcini, che non avevano mai visto oggetti volanti sopra di loro, si immobilizzavano al passaggio dello stimolo "sweeping" e fuggivano rapidamente alla vista dello stimolo "looming". In sostanza questo esperimento indica che i pulcini hanno una conoscenza innata di ciò che costituisce una minaccia incombente.
In conclusione, la mia relazione con Polly mi ha fatto comprendere ancora di più che l'assunto di Jeremy Bentham: “Il problema non è, possono ragionare? né, possono parlare? ma, possono soffrire?” è troppo limitante per considerare una vita, qualsiasi vita, tale da essere vissuta.
E qui mi viene in aiuto Martha C. Nussbaum che con il suo Giustizia per gli animali - la nostra responsabilità collettiva (il Mulino 2023) sgretola l’approccio utilitarista del basta che non soffrano. Nussbaum, Professoressa di Law and Ethics all'Università di Chicago, chiama la sua visione Approccio delle capacità: “L'AC non classifica gli animali in base alla somiglianza con gli esseri umani, né cerca, diversamente da altri popolari approcci teorici, di stabilire privilegi speciali per quelli ritenuti più “simili a noi”. Secondo l'AC, ogni creatura senziente (capace di avere un punto di vista soggettivo sul mondo e di provare dolore e piacere) dovrebbe avere l'opportunità di fiorire nella forma di vita che le è propria”.
Il dolore rappresenta un aspetto cruciale e una delle principali cause di ingiustizia nei confronti degli animali. Tuttavia, non è l'unico elemento da considerare. Gli animali necessitano anche di interazioni sociali, spesso all'interno di gruppi numerosi della loro specie. Richiedono spazio per muoversi, “hanno bisogno di giochi e di stimoli”.
“Non opteremo per una vita priva di dolore se ciò comportasse la rinuncia all’amore all’amicizia alle attività e a tutto ciò a cui teniamo”. Qui Nussbaum in versione Byung-Chul Han.
“Siamo tutti animali, scaraventati insieme quaggiù su questo mondo, che si sforzano di ottenere le cose di cui hanno bisogno e che spesso vengono ostacolati in questo tentativo”.
Grazie Professoressa e grazie Polly, ti verrò a trovare presto.
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Un’immagine che mi ha colpito
Questa foto è di Tommaso Ausili, e fa parte della serie ”The hidden death” con la quale nel 2010 vinse il World Press Photo e l’Iris d’Or. Tempo fà avevo fatto delle stories che parlavano di lui, magari un giorno farò una NL sui fotografi che hanno scattato gli animali da allevamento. L’unica cosa che dirò è che a mio avviso le migliori foto mai fatte all’interno dei macelli le ha fatte lui, una persona non coinvolta nella causa.
Basta, questa volta l’outro lo tolgo veramente.
Sempre accurato. Peró ti voglio fare una domanda: al di là dell’approvazione dell’ethics statement da parte di una rivista, secondo te gli studi etologici svolti in un laboratorio sono eticamente accettabili?
Da etologa antispecista mi sono fatta spesso questa domanda. E alla fine mi sono data anche una risposta.