Sono tornato nelle mie zone di origine dove ho mosso i miei primi passi, anche dentro gli allevamenti. In queste righe, il mio racconto di come ho vissuto l’esperienza di entrare a contatto con gli animali negli allevamenti alluvionati.
Animal farm News è divisa in tre parti, oltre a un articolo inedito ci sono due rubriche: Contenuti interessanti e Immagini che mi hanno colpito.
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Mercoledì 17 maggio appena sveglio ho scritto a Matteo, lui vive a Faenza e la sera prima gli era arrivato l’ordine di evacuazione per il rischio dell’esondazione del Lamone, il fiume che scorre dietro casa sua. Due settimane prima, a un centinaio di metri da dove abita, l’argine sinistro aveva ceduto allagando un intero quartiere.
Alle 8 di mattina mi manda un video di un punto della città inondato, alle 10 in lacrime mi dice che il primo piano di casa sua è allagato. Piango anche io, in quella casa ci ho dormito un sacco di volte, l’ultima è stata ad aprile. Un disastro: la Romagna si è allagata e tutt i miei amicə sono ad aiutare altre amicə con la casa sott’acqua.
Da subito iniziano a uscire immagini e notizie, di ogni taglio, e giovedì il Fatto pubblica un articolo dove un allevatore di Lugo, chiede aiuto perché i suoi 2.600 maiali stanno affogando. Nel frattempo Simone, l’assistente al team investigativo di Essere Animali, inizia a mappare gli allevamenti in prossimità dei fiumi esondati.
Nelle province di Forlì-Cesena e Ravenna, le più colpite dall’alluvione, si concentrano migliaia di allevamenti, per l’esattezza 1.708 e all’interno di questi ci sono: 18.846 bovini, 173.872 maiali, 446.675 conigli e 14.606.221 tra polli e galline. Quest’ultimo dato degli avicoli è eloquente perché quegli oltre 14 milioni di uccelli sono rinchiusi in soli 311 allevamenti, con una media di circa 47 mila capi ciascuno. Qui l’intensivo è una “Passione di famiglia”, qui è il regno di Amadori che ha la sua sede a San Vittore, paese sul fiume Savio a pochi km da Cesena, qui le rotonde sono brandizzate e ogni famiglia della vallata ha almeno un dipendente che ci lavora dentro.
Partiamo!
Mi metto in contatto con l’amico Max Cavallari, fotografo che già dalla mattina di mercoledì è nei territori alluvionati, le prime foto che hai visto delle case sommerse dall’acqua sono le sue.
Giovedì non riusciamo a partire, ma venerdì alle 13:00 siamo davanti alla strada che conduce all’allevamento di maiali citato dal Fatto. Max è già dentro. Nel viaggio ci siamo fermati a comprare gli ultimi stivali rimasti da Decathlon – non serviranno a niente. Con noi c’è anche la fotografa Selene Magnolia. All’allevamento non si riesce ad arrivare in macchina per cui ci avviamo a piedi, dopo 20 metri abbiamo già l’acqua (molto fredda) dentro agli stivali, titubiamo un po’ e nel mentre arriva un lavoratore, anche lui in procinto di raggiungere la struttura. Insieme ci incamminiamo e ci racconta che sono due giorni che stanno spostando gli animali e che non sa quanti ce ne sono ancora all’interno. Appena arrivati vediamo 2 cadaveri di giovani maiali accanto a un capannone e un altro galleggia, l’acqua è un brodo di merda con topping di blatte e vermi.
Saluto al volo Max, lui al contrario nostro è asciutto, dentro a una salopette impermeabile. Entriamo in uno stanzone dove 3-4 operai stanno facendo uscire le scrofe dalle gabbie di gestazione. In questi box vengono inseminate artificialmente, in spazi dove possono sdraiarsi ma non girarsi. L’acqua gli arriva sotto la pancia e da quello che ci dicono si è già abbassata. Sono in quella condizione da almeno 2 giorni e mezzo, per cui per tutto questo tempo sono rimaste in piedi. La situazione è un po’ tesa, le scrofe sono molto nervose e gli operatori faticano a movimentarle, chi torna dentro la gabbia e chi rimane frizzata in mezzo al corridoio.
I lavoratori non hanno l’equipaggiamento tecnico di Max, alcuni si sono arrotolati dei sacchi neri sulle gambe, altri (come noi) sono fradici. Rimaniamo fino allo svuotamento dell’ultimo capannone, le scrofe vengono stallate in un’area asciutta vicino al biodigestore, per dar un po’ di conforto hanno sparso della paglia sul pavimento, sarà la prima e ultima volta che dormiranno in un “letto comodo”. Prima di andare via, il gestore dell’allevamento ci tiene a ribadire che le scrofe di solito non vivono nelle gabbie e che erano state trasferite lì per salvarle dall’acqua – sì, sì, certo ci crediamo.
Torniamo alla macchina ci asciughiamo e puntiamo dritti verso Forlì, ai lati della strada cataste di mobili infangati aspettano di essere portati in discarica. Alle 17:00 arriviamo a San Lorenzo in Noceto una località a 10 km da Predappio. Il giorno prima il mio amico Ezio mi aveva detto: “Sabbatani non c’è più”, quell’allevamento lo conosco bene. Arriviamo da monte, quel che rimane dell’allevamento ci rimane sulla destra. L’area è piena di gente, di trattori e c’è anche un camion adibito al trasporto degli animali. Parcheggiamo al di là del ponte che attraversa il fiume Rabbi, ancora molto carico. Mentre Simone alza il drone Io e Selene ci avviamo verso l’allevamento. Cuffie e power bank collegato al telefono, così ci accoglie il proprietario dell’azienda Sabbatani, storico produttore romagnolo di uova. Visibilmente provato ci racconta brevemente quello che è successo: “vedete, dove ora scorre il fiume prima c’era la strada aziendale, 2 capannoni sono stati completamente distrutti dalla piena e gli altri 9 sono gravemente compromessi. Su 130.000 galline, 60.000 sono morte”. Gli chiediamo se possiamo dare un’occhiata e ci dà il permesso di fare un giro. Centinaia di galline sopravvissute razzolano tra le macerie, un capannone sembra che sia stato bombardato e centinaia di pulcini morti sono ancora dentro le gabbie.
Lo scenario è veramente apocalittico. Un operaio, che sta sbancando della terra con una ruspa, ci dice che il fiume un tempo deviato è ora tornato nel suo corso originario. “Quando l’uomo si mette in mezzo, prima o poi la natura si riprende ciò che è suo”. Con meno filosofia penso invece che è assurdo che sia stata autorizzata la costruzione di un allevamento così grosso a due passi dal fiume. Prima di andare via il titolare ci dichiara che più volte aveva richiesto al Comune degli interventi per la messa in sicurezza degli argini ma, anche per colpa degli ambientalisti che protestavano per il taglio degli alberi, nessuno ha mai fatto niente. Sulla strada del ritorno ci chiediamo che fine faranno quegli animali nascosti sotto i rottami del capannone. Sono 3 giorni che non mangiano.
Sabato ci dirigiamo verso Cesena, mi hanno detto che diversi allevamenti di polli sulle colline ai lati dell’E45 sono franati o irraggiungibili perché non hanno più una strada per accedervi. A metà strada ci fermiamo per fare colazione, a una squadra della Protezione Civile chiediamo se conoscono allevamenti che hanno avuto dei problemi. Ce ne indicano uno a pochi km da dove siamo, anche questo lo conosco molto bene, nel 2016 ci abbiamo fatto un’indagine. Il posto è a Bertinoro, so già dove parcheggiare e per prima cosa ci voliamo sopra con il drone. Piove a dirotto. Notiamo subito che con un trattore stanno tirando fuori delle carcasse di maiali da dentro a un capannone e le stanno ammucchiando a lato della struttura. Ci alziamo per controllare l’intero complesso e rimaniamo scioccati, a due capannoni di distanza, coperti da dei grossi alberi, c’è un cumulo con un centinaio di cadaveri. Riprendiamo la scena e decidiamo di andare a chiedere se ci fanno entrare. Parliamo con la segretaria che chiama il proprietario che ci nega l’accesso, prima di averci detto che circa la metà degli animali sono morti, si parla di migliaia di maiali.
Proseguiamo verso la valle del Savio, andiamo in un allevamento di polli attaccato al fiume, esce il proprietario e ci dice che l’allevamento si era allagato, ma era vuoto. Chiediamo se conosce altri allevamenti colpiti e ci manda a Piavola dove ha saputo che un allevamento di polli è isolato da 3 giorni perché la strada per arrivarci è franata. Localizziamo i due capannoni dell’allevamento e per arrivarci percorriamo i tornanti di una stradina, ogni 200 metri una frana occupa metà della carreggiata, alcune ruspe sono già al lavoro, chiediamo agli operai se è sicuro andare avanti: “sì ma state attenti”. A un certo punto incontriamo due macchine della Protezione Civile al bordo della strada, sono lì per andare a controllare lo stato degli animali del “nostro” allevamento. Arriva anche il proprietario e tutti insieme saliamo a piedi, la frana ha tranciato il tubo che gli porta l’acqua, la strada è interrotta e non consente di salire con un camion per portargli il mangime. Entriamo nell’allevamento, gli animali paiono in buone condizioni, ma sono più di 15 ore che non bevono.
Le scorte sono finite e per abbeverare tutti i 100.000 animali presenti ci vogliono 20.000 litri d’acqua al giorno, anche il mangime sta per terminare. Il fatto è che un pollo può rimanere senza cibo per qualche giorno, ma non può stare senza bere. Se non bevono per un altro giorno muoiono. L’allevatore è sicuro di riuscire a sistemare al più presto la strada e far salire una botte d'acqua con un trattore, anche la Protezione Civile ci tranquillizza, gli chiediamo il telefono per avere aggiornamenti e ce ne andiamo.
La giornata prosegue alla ricerca dell’allevamento che dicono sia franato completamente. Troviamo le coordinate GPS, più persone ci confermano l’accaduto e iniziamo la ricerca. Dopo un’ora di strade deserte al limite del percorribile, individuiamo i capannoni che si trovano alle pendici di un poggio. Anche se siamo con un Land Rover non ci arrischiamo ad arrivare davanti all’allevamento per cui facciamo decollare il drone.
La struttura appare perfettamente integra. Dalla strada vediamo un pick up, lo fermiamo e gli chiediamo informazioni riguardo l’allevamento “che è andato giù”. Il tipo sulla macchina è il fratello del proprietario e ci liquida con un: “non è vero niente c'è solo stata una piccola frana che ha sfiorato un capannone”. Niente, il telefono senza filo ci ha fatto perdere più di due ore. Non avendo più nessuna informazione riguardo allevamenti con problemi decidiamo di tornare verso casa. A mezzanotte, mentre siamo all’altezza di Lodi, Giulia Innocenzi mi scrive che le hanno segnalato un allevamento allagato a Bagnacavallo (RA) con 5.000 maiali. Informo subito Stefano Belacchi, il mio amico fotografo che abita vicino a Ravenna, oltretutto in una zona pesantemente alluvionata. Il giorno dopo, domenica 21, arriva all’allevamento, la strada per raggiungerlo è sommersa e all’imbocco c’è un capannello di gente, ci sono anche i carabinieri. Riesce ad avvicinarsi ai capanni, un centinaio di maiali sono fuori che nuotano liberi. All’interno tantissimi sono ancora rinchiusi nei recinti e tremano dal freddo. Sono passati almeno tre giorni e gli animali non sono ancora stati spostati.
Su internet inizia a scatenarsi la protesta. Il giorno dopo Stefano ritorna all’allevamento, i pompieri non lo fanno avvicinare, ma incrocia i camion arrivati per trasferire gli animali. Non si sa quanti animali sono morti né il perché hanno impiegato così tanto tempo per togliere i maiali dall’acqua.
E ora?
Cosa abbiamo imparato dall’esondazione di 23 corsi d’acqua e migliaia di frane tra cui 376 importanti?
Secondo l’Osservatorio Città Clima di Legambiente da inizio anno ci sono stati 73 eventi climatici avversi per lo più causati da piogge intense e siccità prolungate. Due problematiche causate da una crisi climatica, che si sta manifestando anche a casa nostra.
Il climatologo Luca Mercalli la pensa così: “Eventi come quelli che stiamo vedendo in Emilia-Romagna c’erano anche in passato, ma ora diventano più frequenti e più intensi. In quindici giorni si sono verificate due alluvioni. Sono episodi che avremmo dovuto vedere in cento anni. È proprio questo che fa il riscaldamento climatico: estremizza, appunto”.
Gli allevamenti c’entrano eccome, come ormai è risaputo sono responsabili di una importante fetta di emissioni di gas serra e in parte contribuiscono alla cementificazione del territorio. Territorio, quello dell’Emilia Romagna, con un’alta quantità di suolo consumato, appoggiato per la maggior parte su una piana alluvionale, storicamente colpita da inondazioni. La regione ha il primato per la cementificazione delle aree alluvionali e Ravenna è seconda solo a Roma per l'aumento di superficie cementata nell’ultimo anno.
In un contesto del genere parlare di maltempo è come mettere la polvere sotto il tappeto.
Concludo con una chiusa di Belacchi: “Una politica lungimirante risarcirebbe le aziende che contribuiscono al cambiamento climatico solo a condizione che riconvertano o cessino le loro attività”.
Ah dimenticavo i polli dell’allevamento senza acqua sono ancora vivi… per poco.
Contenuti interessanti
Non sarà questa generazione a mettere fine agli allevamenti intensivi, ma forse la prossima, così titola un articolo del Forbes.
A confronto di un tempo nelle macellerie si vedono meno animali morti appesi, una riflessione sul inserto settimanale “Cibo” del Domani.
Secondo ricercatori gli antichi abitanti della Gran Bretagna consideravano le galline dei pet e non mangiavano né le loro uova né la loro carne. Furono i romani a convincerli il contrario.
Greenpeace ha calcolato che in Francia il 60% degli animali allevati sono concentrati nel 3% delle aziende agricole.
In questi giorni si parla tanto di pulizia dei fiumi, un idrologo spiega che non va bene “pulirli troppo”.
Un’immagine che mi ha colpito
Si sarò poco originale e/o un po’ svogliato ma questa foto di Selene ha tutto: l’alluvione, l’allevamento industriale con biodigestore sullo sfondo e due scrofe che si danno conforto nella tragedia, quest’ultima interpretazione è una mia immaginazione… non farci caso.
Se sei arrivato fino in fondo. Grazie, perché prima è stato faticoso andare negli allevamenti poi anche scrivere questo pezzo.